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Recentemente su “la Repubblica” è stato pubblicato un articolo a firma del prof. Boitani (QUI) dal titolo “Troppi animali si fa presto a dirlo”.
Nonostante i buoni intenti del noto zoologo probabilmente per il lettore medio de “la Repubblica” alcuni concetti esposti potrebbero veicolare messaggi potenzialmente errati.
Un primo aspetto che, secondo me, andrebbe ulteriormente approfondito riguarda il seguente punto: Il prof. Boitani scrive “[…] Quindi il numero è eccessivo non di per sé ma con riferimento al disturbo che questi animali arrecherebbero all’uomo, in particolare ai danni o ai pericoli che causano alle sue attività. E’ importante questa considerazione perché allora il numero normale è da rapportarsi ai danni che l’uomo è disposto a sopportare.[…]”
Trovo che, ovviamente senza tralasciare che in un contesto in cui l’uomo “esiste” ed è oramai, passatemi il termine, il “motore” di molte “dinamiche ecologiche”, non si possa trascurare che “troppi” animali possano rappresentare un problema non solo per le attività antropiche ma anche per altre specie selvatiche (animali e vegetali). Non mancano certo esempi in letteratura ed è palese che senza interventi gestionali non si rischia di perdere solamente preziosi raccolti/armenti ma anche specie vegetali e animali; la natura che si “autoregola”, in pieno “antropocene”, somiglia tanto ad un’utopia che anche sul lungo periodo potrebbe sortire effetti sulla conservazione che si discostano da quelli sperati. Non possiamo trascurare gli ecosistemi che si fondano sui ruoli delle diverse componenti animali e/o vegetali presenti e sul bilanciamento relativo delle stesse. Nel momento in cui, per diverse ragioni (storiche, ecologiche, antropiche ecc.), una componente di queste comunità, come ad esempio gli ungulati, esplode numericamente si perde completamente “l’equilibrio” tra la produzione vegetale e la quantità di ungulati che le consuma. Se prendiamo un bosco (o una qualsiasi altra comunità vegetale) questo tipo di impatto può comportare la perdita di alcune classi di età. In Italia esistono, ormai, zone nelle quali andando in un bosco non si trovano più intere classi di età di piante e/o alberi. Questo, sostanzialmente, accade perché i consumatori primari “consumano” tutta la nuova produzione vegetale. Tutto questo ha una serie di conseguenze ed esiste tutta una letteratura scientifica sull’effetto delle popolazioni animali sovrabbondanti su altre componenti dell’ecosistema…insetti, micromammiferi, uccelli canori, vegetazione, suolo, ecc. Non mancano quindi gli esempi a dimostrazione che questo genere di squilibri possano determinare difficoltà nel mantenere un ambiente capace di fornire servizi ecosistemici e che, infine, funzioni.
Inoltre il professore scrive “Ecco, sarebbe bello leggere che una Regione ha fissato, nel pieno esercizio delle sue prerogative politiche, il numero massimo di danni che è disposta a pagare ogni anno a causa dei lupi. Oltre quella soglia, scatterà la riduzione dei lupi“.
Anche questa affermazione, apparentemente sensata, in realtà non è congrua a quanto effettivamente accade.
Le Regioni, di fatto, non hanno potere d’intervento basti vedere la guerra istituzionale che c’è stata tra MATTM e Province autonome di Trento e Bolzano sul tema competenze nella gestione dei Grandi Carnivori. Tutte le amministrazioni regionali sono di fatto “legate” ad un Piano nazionale, redatto da Boitani stesso ed attualmente sospeso (da tempo) in assenza di un accordo condiviso. Non è altrettanto possibile la riduzione numerica, in quando lo stesso Piano nazionale auspica, ad esempio, che nel contesto alpino, dove oggi si riscontrano le maggiori criticità, la specie debba rioccupare “almeno 69.600 kmq di territorio” per “raggiungere lo status di conservazione soddisfacente”. Quindi il Piano auspica in sostanza che il lupo arrivi nelle zone di valle, vere e proprie polveriere sociali… quindi ben altro rispetto alla riduzione!

Già è difficile lavorare in questa situazione, se anche autorevoli autori come Luigi Boitani, che ha ed ha avuto un innegabile ruolo nella governance della specie negli ultimi 50 anni, fa passare questi concetti, per chi opera in campo gestionale tutto diventa ancora più complicato!!!

Giuliano Milana

About the author

Giuliano Milana

Naturalista, biologo ed agrotecnico laureato.
Autore di pubblicazioni su riviste scientifiche nazionali ed internazionali, presidente di EPS Sardegna

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