A me l’occhio. Per carità, non ho nessuna intenzione di infilare il dito nell’occhio di certi amici selecontrollori appenninici che hanno preso alla lettera riti e liturgie che oltr’Alpe accompagnano l’abbattimento di un ungulato. Il Weidmannsheil! (che significa “Viva il cacciatore”) è l’omaggio che l’accompagnatore tributa all’autore dell’abbattimento porgendogli sul cappello il rametto (Bruch) macchiato del sangue della vittima sacrificale. Il cacciatore prende il rametto e lo infila nella fascia del suo cappello rispondendo Weidmannsdank’. Il rito, fatto un po’ all’amatriciana, a volte diventa approssimativo e talvolta un po’ comico. E il saluto Weidmannsheil! si trasforma in un’altra parola. Con le mie orecchie ho sentito “Banzai!” o “Laiammazzai!”. Morale: evitiamo riti non nostri che appartengono a un’altra cultura. E gridiamo il nostro” Viva Maria!” che significava per le popolazioni rurali la liberazione dalla fame grazie all’animale sacrificato. A meno che non abbiamo la fortuna di cacciare in quei territori dove si è sempre praticata la caccia in loden, come l’Alto Adige, il Tarvisiano e il Carso. E della cultura germanica accontentiamoci di utilizzare quel tipo di gestione che abbiamo importato solo pochi decenni fa, e che tanto bene ha fatto alle popolazioni dei nostri grandi selvatici, gli ungulati.
A questo punto, però, vale la pena mettere a confronto le due diverse culture e i due diversi modi di considerare la Natura, al di qua e al di là delle Alpi. Nella solare cultura mediterranea, romano-giudaico-cristiana (e io aggiungerei anche greca), l’Uomo è posto dalla Divinità al centro dell’Universo. Padrone assoluto, dispone liberamente e a suo piacimento di animali, piante e acque, perché solo l’Uomo ha l’anima. Dio gli affida il Pianeta perché ne faccia buon uso. E lui ne dispone liberamente. L’Uomo del Sole considera la Natura la madre del disordine e vi mette riparo trasformandola in quello che oggi chiamiamo “il giardino all’italiana”. Quello è il paesaggio che abbiamo disegnato: campi ben curati e vigne, dove convivono specie opportuniste, come la starna, la pernice, la lepre che si nutrono senza far danno del lavoro dell’uomo. Le altre specie, le fiere come gli ungulati e il lupo, erano confinati nei boschi. E da lì uscivano per far danno. La foresta era il disordine, il regno del demonio e l’uomo ogni tanto compiva un’incursione, con cani e brigate di cacciatori, per mettere ordine. Ha messo così bene ordine che fino a pochi anni fa i grandi mammiferi erano quasi scomparsi. Poi, si sa, il paesaggio è disegnato dall’economia. Una volta si coltivavano grano e farro fino a quasi duemila metri, le montagne erano popolate dagli allevamenti. A cominciare dal dopoguerra, l’agricoltura ha progressivamente abbandonato la montagna e la collina. Il bosco ha preso il posto dei pascoli e delle colture. Le diverse specie di ungulati, cinghiali, caprioli, daini, cervi, mufloni, e camosci, discendenti da popolazioni residue o reintrodotti a scopo venatorio, amatoriale o anche naturalistico l’hanno fatta da padrone, vi hanno trovato cibo e rifugio e si sono riprodotte in maniera che nessuno aveva immaginato. In quegli anni si stava facendo strada un modello di gestione che, già presente in Alto Adige e nel Tarvisiano, trovò spazio nel ’94 nella legge regionale Friuli-Venezia Giulia e progressivamente in tutte le regioni interessate. Quindi, tranne che per il cinghiale, unico ungulato da cacciare anche in braccata e anche con armi a canna liscia, la caccia è ammessa solo in selezione con carabine di precisione. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Oggi l’Italia, grazie anche alle aziende faunistico-venatorie, vanta la più vasta popolazione di ungulati in Europa.
Al di là delle Alpi, soprattutto in area linguistica germanica (ma anche nei Paesi di cultura celtica) l’uomo è solo un ospite della foresta-cattedrale popolata da un empireo di tutte le altre creature reali, come gli animali selvatici e le piante, e fantastiche come gli elfi, i coboldi e gli gnomi. L’uomo vi entra con rispetto, in punta di piedi. E quando taglia un albero o abbatte un animale, poi chiederà perdono a entrambi. E così abbiamo il mito dell’albero che, nella tradizione cristiana, sarà dedicato al Natale ma che nella tradizione germanica è l’albero, coperto di luci e di doni nel solstizio d’inverno, simbolo di tutti quelli che sono stati abbattuti. E dello stesso esorcismo fanno parte tutti quei riti, come il Weidmannsheil! che onorano la spoglia dell’animale ucciso ma che diventerà carne, sangue, energia dell’uomo che se ne nutrirà.
Bruno Modugno