È possibile gestire l’avifauna migratoria? A questa domanda si può rispondere solo al passato mentre ciò che accadrà in futuro è sempre un’incognita influenzata da variabili che in estrema sintesi vanno dal successo della nidificazione, a fenomeni naturali imprevisti fino ai guasti dell’ambiente prodotti dall’uomo.
Nowak (1988), nella sua rassegna sui Network internazionali di Habitat per le specie migratrici, scriveva: “In conclusione si deve dire che per quanto riguarda la volontà politica di costruire un sistema biotopico su scala globale per le specie animali migratrici ci troviamo in una situazione deplorevole”.
Nel frattempo, le nuove iniziative intraprese da alcuni Stati non garantiscono ancora una protezione efficace degli uccelli migratori. In quest’ottica possiamo fare ben poco se non analizzare dettagliatamente quello che si è verificato in passato per capire meglio questo straordinario fenomeno biologico che passa periodicamente sopra le nostre teste.
È noto che ai fini della programmazione faunistico-venatoria risulta basilare l’acquisizione di informazioni relative alla consistenza e allo stato di conservazione delle popolazioni nidificanti e migratrici delle specie oggetto di prelievo venatorio e non solo. L’ambiente appartiene a tutti e distinguere specie cacciabili da quelle non cacciabili è un errore grossolano. Limitare la caccia ad una specie in pericolo senza una corretta gestione del territorio, intervenendo sulle politiche di conservazione degli ambienti naturali e sull’economia agricolo-forestale, non porta certamente risultati positivi. Abbiamo visto che chiudere la caccia nei confronti di specie in pericolo non serve a niente. L’avifauna, come del resto ogni animale selvatico, interagisce direttamente con l’ambiente da cui trae sostentamento e rifugio, la predazione, qualunque essa sia, influisce direttamente sulla selezione e conseguentemente sull’evoluzione delle singole specie.
È necessario però, per quanto riguarda la caccia alla migratoria, disciplinare periodi e specie cacciabili.
Ciò che un animale fa nel suo habitat rappresenta la sua nicchia. Il modo in cui si procaccia il cibo, le strategie messe in atto per assicurarsi una discendenza, come sopravvive, come si adatta al suo territorio ecc. sono tutte quelle cose che vengono svolte all’interno della sua nicchia ecologica. Ogni nicchia è frutto di un processo evolutivo all’interno della quale differenti specie sono in grado di formare una comunità ecologica in cui ciascuna specie svolge un ruolo diverso pur condividendo il medesimo ambiente.
Alcuni uccelli migratori vivono nelle foreste delle regioni temperate dell’emisfero nord in estate e migrano ai tropici d’inverno, quindi l’habitat di un tale migratore alato deve essere considerato in base alla normale attività svolta all’interno di questa nicchia che si estende dalla foresta temperata dell’emisfero nord fino ai tropici. Per affrontare correttamente il fenomeno della migrazione dell’avifauna è opportuno raccogliere informazioni all’interno delle diverse nicchie ecologiche, tante quante sono le specie degli uccelli in natura. Ovviamente questo è un lavoro enorme e quasi impossibile da portare avanti. Forse proprio per questi motivi molti zoologi preferiscono concentrare i propri studi su animali stanziali piottusto che sui migratori e tra questi i più complessi sono senza dubbio gli uccelli.
Per tali ragioni avanzare delle ipotesi sulla consistenza numerica di una popolazione di migratori alati è un operazione molto difficile, a meno che, come fanno e hanno fatto alcuni, si diano numeri a caso. Mi spiego meglio. L’ambiente di un animale si compone di tutto ciò che direttamente influenza le sue possibilità di sopravvivere e riprodursi. Questi fattori sono lo spazio, le forme di energia come la luce del sole, il calore, il vento e le correnti d’acqua e anche materiali come il suolo, l’aria, l’acqua e le sostanze chimiche. L’ambiente comprende anche altri organismi, che possono essere fonte di cibo per un animale, predatori, competitori, ospiti o parassiti. L’ambiente è quindi composto da fattori abiotici (non viventi) che biotici (viventi). Alcuni di questi fattori ambientali, come lo spazio o il cibo, sono utilizzati direttamente dagli animali e vengono indicati con il termine “risorse”. Per capire la dinamica di ogni popolazione di uccelli migratori dovremmo quanto meno essere in possesso di tutti questi dati.
In mancanza di tutto ciò, sulla base delle informazioni scientifiche disponibili, lo stato italiano, per mezzo del comitato Ornis, organo tecnico-scientifico comunitario, ha comunicato alla Eu le date relative all’inizio dei passaggi migratori prenuziali, nonché quelle relative ai periodi di nidificazione delle varie specie sul territorio nazionale. Tali date e periodi conseguenti sono state inserite nel documento “Concetti chiave dell’art. 7, par. 4 della Direttiva 79/409/CEE”, divenendo pertanto vincolanti. La L. 157/92 è stata concepita optando per un calendario venatorio basato su periodi e non su specie, individuando la data del 31 gennaio oltre la quale il prelievo venatorio inciderebbe sulla migrazione pre-riproduttiva di molte specie cacciabili.
In conclusione, le diverse forme di migrazione che si sono sviluppate attraverso la selezione debbono essere ulteriormente studiate con accurate ricerche sul campo, affinché i loro meccanismi di controllo fondamentali possano essere analizzati mediante sperimentazioni appropriate, in laboratorio. Solo così, e non lavorando prevalentemente al computer, i fenomeni molteplici e in continua mutazione delle migrazioni degli uccelli diventeranno sempre meglio comprensibili.
Luca Bececco