Gli scienziati descrivono la temperatura, superiore a 20,75 °C, registrata recentemente in Antartide come un episodio “incredibile” ed “anormale”. Se non ci adopereremo per tenere sotto controllo globalmente il costante aumento di quest’ultima, saremo condannati a perdere almeno la metà delle specie animali e vegetali che oggi popolano i paradisi terresti che conosciamo. La notizia drammatica è che, anche restando al di sotto del limite di 2°C definito dall’Accordo sul clima di Parigi, il 25% delle specie che popolano le aree chiave per la biodiversità saranno ugualmente destinate a scomparire per sempre.
Alla base di eventi allarmanti di questo tipo sono molto probabilmente i cambiamenti climatici. Ben note sono ormai le principali cause del riscaldamento globale, così come gli effetti: il cambiamento climatico non si limita a far innalzare le temperature in tutto il mondo, ma anche il livello del mare, innesca processi di desertificazione, aumenta l’acidità degli oceani, e può rendere più violenti fenomeni atmosferici come uragani e tempeste. Inoltre, si ritiene che questo rappresenti una minaccia di vasta portata per la biodiversità e potrebbe influenzare diversi aspetti dell’ecologia degli animali che dovranno essere capaci di adattarsi per poter far fronte a tali cambiamenti.
In tal senso, gli esempi sono numerosi ed interessano trasversalmente la fauna selvatica.
Uno studio (https://link.springer.com/article/10.1007/s10584-020-02668-8) sugli uccelli ha evidenziato cambiamenti sulla fenologia migratoria indotti dal cambiamento climatico e ha posto particolare attenzione sugli effetti dell’aumento della temperatura. Principalmente si osservano un arrivo anticipato ai siti di nidificazione, un anticipo della riproduzione ed una variazione in termini di abbondanza.
Si evidenziano effetti anche sui mammiferi; ad esempio nel cinghiale (Sus scrofa) l’azione del global warming si riflette sulle dinamiche delle popolazioni. Gli incrementi annuali sono influenzati dalla disponibilità di cibo, dal clima e dalle caratteristiche della popolazione. La maturità sessuale delle femmine è condizionata dal raggiungimento di un peso-soglia di circa 30 kg e non dall’età: anche femmine di età inferiore all’anno (dai 7 mesi) che abbiano raggiunto il peso-soglia possono riprodursi. Annate climaticamente favorevoli comportano una maggior disponibilità di cibo influenzando così la prolificità delle femmine. Studi specifici hanno evidenziato che con una abbondante presenza di frutti forestali (pasciona), come ghiande e faggiole un numero maggiore di femmine si riproduce e le cucciolate sono di dimensioni maggiori (in media 4-6 animali). L’incremento del numero di cinghiali rappresenta una criticità non solo per le pesanti ripercussioni sull’agricoltura ma anche per la diffusione di patologie, quali la PSA, per le quali questo ungulato rappresenta un vettore.
Abbiamo accennato in apertura al fatto che il riscaldamento globale rappresenti una minaccia di vasta portata, per la biodiversità, capace di influenzare diversi aspetti dell’ecologia degli animali. I vertebrati ectotermi (a sangue freddo), come ad esempio i rettili, la cui vita dipende direttamente dalle condizioni termiche esterne, risultano particolarmente vulnerabili, in tal senso. Citiamo un interessante studio ( qui ) nel quale vengono analizzati i cambiamenti nella fenologia, verificatisi negli ultimi 20 anni, in una popolazione di vipera (Vipera aspis). Lo studio punta a mettere in relazione i cambiamenti occorsi con il mutamento climatico. Sono stati analizzati tre aspetti della fenologia annuale della vipera: inizio attività dopo la latenza invernale (letargo); inizio alimentazione dopo la latenza; inizio della latenza. I risultati dimostrano che il cambiamento, di fatto, si manifesta in un anticipo della fine della latenza e della prima alimentazione ed in un posticipo nell’entrata in “letargo” ed è correlabile con le variazioni climatiche occorse nel periodo di studio.
I cambiamenti non interessano soltanto i vertebrati. Sempre alla stessa causa si può associare, ad esempio, l’espansione numerica di diverse specie di zecche persino alle latitudini più elevate del Nord America ( qui ). Anche nel nostro Paese, chi pratica l’attività venatoria con i propri ausiliari sempre più spesso incontra questi parassiti anche durante i mesi invernali.
L’attività delle zecche è strettamente correlata ai valori di temperatura ed umidità e, sebbene ci siano alcune eccezioni, in generale si concentra nei mesi caldi. Inevitabilmente, però, con l’aumentare della temperatura l’ambiente diventa più favorevole per questi artropodi e la stagione adatta per la loro attività si allunga. Questo incrementa, al contempo, la possibilità di contrarre malattie da queste trasmesse a diversi ospiti finali tra i quali anche l’uomo. Le zecche presentano, generalmente, una bassa specificità di specie, per cui, in assenza dell’ospite preferito, possono attaccarsi al primo “utile” di passaggio; l’uomo rappresenta solitamente un ospite occasionale. Le zecche infatti trasmettono un’ampia varietà di agenti patogeni batterici, virali e protozoari in molte regioni tropicali e temperate del mondo. Con l’aumento delle temperature rimangono attive sino all’autunno.
Le incognite scientifiche ed antropiche rendono difficile prevedere in che modo i cambiamenti climatici influenzeranno in futuro i sistemi ecologici. Certo è che, sulla base di quanto sopra descritto, significativi cambiamenti sono, di fatto, già ampiamente osservabili.
Gli antichi greci consideravano l’uomo una parte (inferiore) della natura e non un suo dominatore, tanto che Platone diceva: “non credere uomo meschino che l’universo è stato creato per te, tu piuttosto sei giusto se ti aggiusti a diversa armonia.” I fatti dimostrano che non esiste questo primato dell’uomo sulla natura ma il tentativo maldestro di armonizzarsi con essa cercando di rimediare in ritardo agli errori commessi. Non ci restano che le nostre capacità di fare ed agire considerando che è sempre più complicato riuscire a prevedere le conseguenze delle nostre azioni.
Manuela Lai