Da qualche tempo rimbalza sui social questa immagine tratta da una trasmissione SKY. La lettura, spesso superficiale, ha scatenato una serie di commenti che denotano come l’utente medio si sia fermato all’apparenza senza cercare di addentrarsi nei numeri e di capire cosa si celi dietro questi.
Possibile che non si riesca ad andare oltre l’apparenza? Il dato espresso così non dice nulla se non teniamo conto ad esempio dei km quadrati di estensione di ogni nazione oppure della popolazione. Questo solo per considerare due aspetti.
Facendo dei semplici conti:
Quindi più o meno siamo tutti sulla stessa barca!
Di fatto il numero dei cacciatori in Europa mostra una diminuzione generale più o meno costante e l’Italia non si discosta da questa tendenza.
Ma cosa sappiamo dei cacciatori italiani in attività?
Questi grafici, estratti da un interessante lavoro del Dr. A. Monaco presentato al convegno dal titolo Verso una gestione sostenibile dei grandi Mammiferi in Italia: uno sguardo oltre l’”emergenza cinghiale” tenutosi a Bologna, il 1 dicembre 2015, ci mostrano chiaramente come i cacciatori in attività in Italia abbiano delle caratteristiche peculiari:
- età “matura”. In Emilia Romagna oltre il 55% dei cacciatori in attività ha più di 60 anni, e oltre il 24% addirittura più di 70.
- crescita di interesse nei confronti del cinghiale. Il grafico è riferito alla regione Toscana ma la tendenza, come ognuno di noi può facilmente verificare, è generalizzata.
Si delineano quindi chiaramente quelle che sono le difficoltà e i limiti con i quali si scontrano quotidianamente i cacciatori italiani. La palese e forte riduzione delle “doppiette” che, se da una parte può ricondursi a fattori culturali e ad una evoluzione fortemente “urbanizzante” della società, dall’altra potrebbe ricondursi anche ad una politica gestionale spesso non all’altezza e che non mostra grandi prospettive a chi volesse cimentarsi nell’ars venandi. A quest’ultimo aspetto potremmo ricondurre anche l’altro punto, ovvero l’aumentata attenzione nei confronti del cinghiale, specie che gode di ottima salute un po’ ovunque e che quindi si presta a soddisfare i vecchi e giovani cacciatori, riconvertiti o neo-cinghialai per forza maggiore più che per sola vocazione.
Non ho mai creduto che “molti” sia necessariamente meglio di “pochi”, soprattutto se, parafrasando il proverbio, quest’ultimi siano anche “buoni” ma di fatto il clima che si respira intorno ai cacciatori è spesso ostile e diffidente, tanto da far nutrire ai nostri “avversari” la speranza che quei “pochi” si trasformino prima o poi in “nessuno”.
Eppure non si fa altro che parlare di filiera corta, di genuinità, di mangiar bene, di paesaggio di riscoperta e tutela della ruralità senza tener conto di come il cacciatore sia protagonista e custode, ahimè silente, di questo mondo.
Esiste una via d’uscita? Un modo che permetta di ottenere un minimo di consenso o quantomeno di tolleranza?
Forse si! Ma ritengo che questo possa passare principalmente attraverso un recupero di credibilità da parte dei cacciatori, credibilità che si ottiene con lo studio e con la capacità di comprendere il proprio ruolo; di fatto solo con la conoscenza accompagnata da comportamenti virtuosi si può argomentare la sostenibilità, l’attualità della caccia e il suo ruolo nella conservazione oggi come domani.
Giuliano Milana